Una ghiotta e antichissima ricetta tipica della tradizione contadina toscana, un piatto capace di confortarci sia in inverno, quando viene gustato caldo, che nella stagione calda, in cui viene servito nella sua versione fredda.
Ricette senza frontiere
A parte gli scontati distinguo tra Firenze e Siena, tra una provincia e l’altra, questa ricetta è indissolubilmente legata alla Toscana. Ogni territorio declina poi a suo modo le preparazioni, che non sono mai semplici fotocopie. Ma guardiamo più lontano, avete mai provato ad assaggiare il salmorejo cordobés, la zuppa fredda tipica della zona di Cordova in Andalusia? Anche qui troviamo pomodoro, aglio, pezzi di pane, olio extravergine di oliva e sale, con l’aggiunta di aceto. Gli stessi semplici ingredienti, la cui qualità è fondamentale per garantire il risultato finale e la soddisfazione dei commensali.
Qui occorrerebbe andare al tema dell’utilizzo, o meglio del recupero, del pane nella preparazione dei piatti, alla ricca tradizione dei piatti mediterranei col pancotto e, allora, scopriamo come ci sia un filo comune, per noi e per gli spagnoli, che ci lega addirittura ai ricettari dell’antica Roma, che già prevedevano l’utilizzo del pane “bagnato”. Vedete bene che pretendere di tracciare confini per il cibo è cosa inutile, è sempre possibile cogliere incroci di culture diverse nelle tradizioni locali. E resta poi a noi il piacevole compito di godere di ogni contaminazione, desiderosi di scoprire i segreti di ciascuna.
Il salmorejo, la zuppa fredda di pomodoro di Cordova
Tre testimoni per un matrimonio felice
Per qualcuno la pappa al pomodoro non è solo un piatto, ma un “elisir di lunga vita” e per la sua preparazione occorre seguire un preciso rituale: far bollire la pappa fintanto che in superficie non si formi un velo, rimescolare attendendo che il velo si formi nuovamente, ripetendo l’operazione per ben sette volte. Solo al termine di questo complicato cerimoniale il piatto è finalmente pronto.
A parlare di incroci di culture però ci è venuta voglia di sperimentare, che ne dite quindi di un bel piatto estivo? Conosciamo prima di tutto i nostri ingredienti: il pomodoro, in questo caso il bombolino toscano, una varietà dolce, che per questa preparazione dev’essere fresco e maturo. Un tempo i bombolini si coglievano senza staccarli dai rametti, in modo da poterli legare in sequenza ad una corda e ricavarne una specie di grappolo da appendere per conservarli a lungo.
Segue l’olio toscano, quello “bono”, extravergine di oliva, “figlio essenziale dell’ulivo”, come canta Neruda, e la Toscana qui ci offre ampie opportunità di scelta. Ultimo ma non ultimo: il pane senza sale toscano. Per la nostra ricetta useremo il pane raffermo: anticamente la cottura del pane avveniva una volta alla settimana nel forno a legna e il pane si manteneva per tutto il periodo che intercorreva tra un’infornata e l’altra. Una settimana di riposo dunque dovrebbe bastare!
Ora è giunto il momento di celebrare questo felice matrimonio di sapori. Ecco una versione “crudaiola” ed estiva della pappa, perfetta per quel periodo dell’anno in cui l’anticiclone africano infiamma le vostre giornate. Un innocente tradimento della ricetta originale, ma comunque sia: Viva la pa-pa-pa-pappa, col po-po-pomodor!
Quello che ti serve:
- 1 kg di pomodorini tipo bombolino
- 200 g di pane toscano raffermo
- 100 g di olio extravergine di oliva
- 1 o 2 spicchi d’aglio fresco
- foglie di basilico fresco
- 10 g di sale
- pepe a piacere
Come preparare questo piatto:
- Lavate e spellate i pomodori mettendoli a bagno per qualche minuto in acqua bollente.
- Strizzate il pane e immergetelo nell’acqua di ammollo del pomodoro, lasciandolo ammorbidire qualche istante.
- Procedi a tritare il tutto con un frullatore, mettendo i pomodori, il pane, l’olio evo, l’aglio, il basilico e il sale.
- Servire nei piatti, decorando con qualche foglia di basilico. Buon appetito
Il vino che proponiamo da abbinare alla Pappa con il pomodoro è una Vernaccia di San Gimignano DOCG. Vitigno toscano di origini antichissime, fortemente legato alla bellissima cittadina medievale di cui porta il nome. Sembra che questo vitigno sia arrivato dalla Liguria (da Vernazza, da cui il nome) intorno al 1200 ad opera di un certo Vieri de’ Bardi, ma l’origine è incerta.
Ha un colore giallo paglierino con riflessi dorati che si accentuano con la maturazione. Il profumo è fine, delicato con sentori fruttati e floreali da giovane. Con l’affinamento e l’invecchiamento sviluppa il caratteristico sentore minerale di pietra focaia. Al palato è un vino secco, armonico, sapido. È uno dei pochi bianchi italiani che possiede doti di invecchiamento. Il Disciplinare di Produzione prevede che il vino sia vinificato con almeno l’85% di uve Vernaccia San Gimignano. La temperatura di servizio deve essere di 8° – 10°C.