Uno spicchio di storia
L’aglio, il cui nome scientifico “Allium sativum” tradisce nobili ascendenze (vanta una parentela con i gigli), è una pianta bulbosa originaria dell’Asia, nota dai tempi più remoti e apprezzata sia per le sue proprietà medicinali, che per gli usi culinari. Ovunque sia stato introdotto l’aglio, è diventato rapidamente sia cibo che medicina.
Troviamo tracce della sua coltivazione in Mesopotamia e anche nell’antico Egitto ci sono testimonianze del suo diffuso apprezzamento. La Bibbia, nel Libro dei Numeri, ci informa del rimpianto degli Ebrei durante l’Esodo dall’Egitto (1250 a.C.) per il periodo in cui la loro dieta non era costituita solo dalla manna: “Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto … e dell’aglio.”
La mitologia greca racconta che Asclepio (o Esculapio), figlio del dio Apollo, fu istruito all’arte medica dal saggio centauro Chirone. Divenne così abile che fu persino in grado di resuscitare i morti, cosa che non andava a genio a Ade, Dio degli Inferi. Ade si lamentò con Zeus, dispiaciuto di vedere Asclepio manomettere l’ordine naturale delle cose. Così Zeus decise di intervenire e uccise Asclepio con un fulmine, proprio mentre stava stilando la formula dell’immortalità. Vedendo che Asclepio stava scrivendo, Zeus fece cadere una pioggia battente per distruggere il testo, che, alla fine, si dissolse nella terra. Quando uscì il sole dopo la bufera, là dove era scomparsa la formula germogliò una pianta: era l’aglio e in molti credettero che fosse il frutto del codice dell’immortalità.
Nell’antica Roma l’aglio era una pianta sacra dedicata al dio Marte (dio della guerra), considerata il simbolo delle virtù militari per le sue proprietà, presente nella dieta dei soldati, oltre che dei contadini e degli atleti, perché garantiva maggior vigore e prestanza fisica e aveva qualità antibatteriche. Furono i romani a diffondere l’aglio in tutta Europa.
Carlo Magno (795) nei Capitolari ne raccomandò la coltivazione su vasta scala e. durante il medioevo, l’aglio ha avuto una crescente importanza come potente antidoto per contrastare la peste che affliggeva l’Europa. L’utilizzo dell’aglio nella creazione di medicinali proseguì anche nel periodo del Rinascimento e, sia la Scuola Medica Salernitana prima che Pasteur successivamente, lo considerarono rispettivamente un rimedio contro i veleni e un efficace antibiotico.
Nel 1918, durante l’Influenza Spagnola, si usò l’aglio contro l’epidemia, così come fu un rimedio per curare le ferite durante la prima guerra mondiale.
Nessuno è perfetto!
Nonostante la scienza e le tradizioni popolari abbiano attribuito all’aglio proprietà salutistiche e siano state apprezzate le sue capacità energetiche e corroboranti, tanto da prevedere il suo inserimento nella dieta dei soldati, degli atleti e di coloro che svolgevano mestieri pesanti, non sono mancati i suoi detrattori, che lamentavano il fastidioso effetto collaterale a livello olfattivo.
L’Artusi nel suo celebre testo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” ci racconta: “Gli antichi Romani lasciavano mangiare l’aglio all’infima gente, e Alfonso re di Castiglia tanto l’odiava da infliggere una punizione a chi fosse comparso a Corte col puzzo dell’aglio in bocca” e ancora “Ci sono molte persone, le quali, ignare della preparazione dei cibi, hanno in orrore l’aglio per la sola ragione che lo sentono puzzare nel fiato di chi lo ha mangiato crudo o mal preparato; quindi, quale condimento plebeo, lo bandiscono affatto dalla loro cucina; ma questa fisima li priva di vivande igieniche e gustose…”. A riprova dell’apprezzamento che l’Artusi riservava all’aglio, possiamo dire che sono poche le ricette salate raccolte nel suo testo che non ne prevedano il suo utilizzo!
Non è stata scritta nessuna “ode all’aglio”, come, invece è avvenuto per la cipolla, per il pomodoro o per altri cibi. Anche se l’aglio è un ortaggio prodotto e consumato in quasi tutte le parti del mondo, è divisivo, o lo ami o lo odi.
Ha un “sentore selvaggio e volgare. Perché è chiaro, cucinare con l’aglio è un oltraggio culinario, un oltraggio al buon gusto. E’ nel modo di maneggiare l’aglio che i mondi si separano. Più profondamente di quanto possiate immaginare” ci dice Jean-Claude Izzo, lo scomparso autore francese, marsigliese per la precisione, anzi uomo mediterraneo, profondamente inserito nella storia di quel mare che amava osservare dal faro di Sainte-Marie, giornalista poeta, sceneggiatore televisivo e cinematografico, autore di numerosi saggi. Non manca, però, chi non vi rinuncia proprio in previsione di incontri ravvicinati…
Uno spicchio di felicità!
Nonostante la sua cattiva fama, c’è anche chi lo considera un potente afrodisiaco, tanto che nel Medio Evo i monaci, che lo coltivavano per le sue proprietà medicamentose, erano invitati a non utilizzarlo in cucina.
“La prima ragazza che ho baciato sapeva d’aglio. Eravamo in un capanno, a Les Goudes, a quell’ora d’estate in cui i grandi fanno la siesta. Quell’anno, quello dei miei quindici anni, ho imparato ad amare l’aglio. Il suo odore nella bocca. Il suo sapore sulla lingua. E l’ebbrezza dei baci, del piacere. Poi venne la felicità del pane sfregato con l’aglio e del corpo speziato delle donne. Da quel momento, l’aglio troneggia nella mia cucina. Malgrado la sua cattiva fama. Perché l’aglio, l’avrete capito, fa parte del gusto di vivere. E’ lui, solo lui che apre le porte a tutti i sapori. Sa accoglierli.” Così scrive ancora Jean-Claude Izzo.
Molti cibi hanno dei fan, l’aglio, invece, può contare su schiere di amanti!
Già, perché anche l’aglio ha un’anima. Un’anima morbida e dolce, che può essere cremosa, basta che sappiate prendere ogni spicchio per il verso giusto e raccogliate la sua vitalità, non sognatevi di gettare nulla, tantomeno la sua anima, non rimarrete delusi.
Come sarebbe triste la vita senza l’aglio!
La storia della cucina sarebbe molto diversa senza il tocco ricco, potente e fragrante dato dal nostro Mr. Garlic. Oserei persino dire che sarebbe impossibile cucinare senza l’aglio. Con chi salterebbero le cipolle in padella? Cosa ne sarebbe del “pesto” ligure o della “bagna cauda” piemontese? cosa ne sarebbe delle nostre “bruschette” o della nostra “soma d’aj”? dei bagnetti, verdi e rossi, alla piemontese? Della “Pappa col pomodoro” o della pasta con le verdure che non disdegnano il tocco finale del gusto che l’aglio regala all’olio soffriggendo dolcemente, per non parlare del più semplice, del più veloce, del più apprezzato piatto di “spaghetti aglio, olio e peperoncino” con tutte le sue innumerevoli varianti. Cosa ne sarebbe della salsa “aioli”, dello tzatziki, dell’hummus, per dare uno sguardo alla cucina più internazionale?
L’aglio si accorda con il vino, di preferenza rosso, ci racconta ancora Jean-Claude Izzo. “A ogni boccone vino e aglio spingono l’oltraggio fino al limite. Là dove il palato non riesce a far fronte a così tante sollecitazioni. Come l’ebbrezza di un primo bacio. Quindi, dico io, contro tutti i vampiri succhiasangue che ci rubano le energie, ci svuotano il cervello e ci prosciugano il cuore, mangiate aglio, bevete vino. Questa è la vita”.
Perché, per parafrasare lo scrittore Jim Harrison, senza l’aglio e il vino continuare per la nostra strada in questa vita può essere davvero dura”.
“Il pesto per vampiri io non lo comprerei!” raccomandano dalla Liguria, alludendo alla bizzarra idea di preparare un pesto senza aglio, per accontentare gli “stomaci delicati”!
Il potere dell’aglio
Stando ai miti e alle leggende, c’è poco che l’aglio non possa fare. Indossato al collo, il bulbo mistico è più potente della spada per scacciare i vampiri. Pestato nel mortaio e amalgamato con altri ingredienti consente di creare pozioni che allontanano disturbi e infezioni. Appeso a grappoli alla porta di una futura sposa, garantisce una felice unione e tiene lontano il malocchio. E, se piantato vicino alle rose, le protegge dagli afidi.
In Francia si metteva, come augurio, uno spicchio di aglio, un sacchetto pieno di sale e un pezzetto di ferro nella culla del neonato. In Spagna, alcuni toreri usavano tenere uno spicchio di aglio legato intorno al collo per proteggersi dai tori. Le fattucchiere di molte regioni italiane sostengono che masticare e ingerire uno spicchio di aglio crudo porti molta fortuna. In Piemonte si strofinavano le pentole di coccio nuove perché diventassero più resistenti. In molte zone di Italia era consuetudine sfregare l’aglio sul naso del bambino, durante il sonno, per allontanare i vermi intestinali.
Bianco o nero?
Pensavate che l’aglio fosse tutto uguale, vestito di bianco? Vi sbagliate, comprende diverse varietà che differiscono tra loro per piccantezza, gusto, dimensione, forma e colore: è tutto un mondo da scoprire! Coltivato nelle regioni fredde, l’aglio diventa più sodo e assume un gusto più pungente, mentre nei climi più caldi tende a acquisire gusti più delicati: la pianta si adatta alla regione in cui viene coltivata.
Sono state censite oltre 200 varietà di aglio coltivate in tutto il pianeta, con colorazioni che variano dal bianco, al rosa, al rosso, al viola.
Per l’Italia ricordiamo:
- Piemonte, il presidio Slow Food dell’aglio di Caraglio
- Liguria, il presidio Slow Food dell’aglio di Vessalico
- Friuli Venezia Giulia, il presidio Slow Food dell’aglio di Resia
- Veneto, l’aglio bianco polesano dop
- Emilia Romagna, l’aglio di Voghiera dop e l’aglio bianco piacentino igp
- Toscana aglio rosa primaticcio, aglione di Valdichiana e aglio rosso maremmano
- Lazio, aglio rosso di Proceno
- Abruzzo, l’aglio rosso di Sulmona
- Campania il presidio Slow Food dell’antico aglio dell’Ufita, l’aglio bianco e l’aglio rosa del napoletano
- Calabria l’aglio rosa di Nicastro e di Papaglionti
- Sicilia il presidio Slow Food dell’aglio rosso di Nubia e l’aglio rosa di Agrigento
C’è anche l’aglio nero, se pur non si tratta di una varietà, considerato che è ottenuto mediante processi fermentativi dell’aglio bianco. Si ottiene con la fermentazione dei bulbi, lasciati in ambiente a umidità e temperatura controllate – tra i 60° e gli 90° e tasso di umidità compreso tra l’80 e il 90% – per un mese, senza alcuna aggiunta di additivi o conservanti. Trascorsi i 30 giorni, seguiranno altre sei settimane di ossidazione. L’aglio nero si presenta con spicchi dal colore bruno scuro e nero, con una consistenza morbida e cremosa e un gradevole retrogusto di liquirizia, e a volte di aceto balsamico, sul palato. Il sapore è molto più dolce rispetto a quello del comune aglio bianco, e non presenta neppure le note piccanti di quest’ultimo. Non ha odore e non lascia neppure alito sgradevole, per questo può essere tranquillamente consumato crudo.
L’aglio nero ci introduce alle tecniche utilizzate per evitare gli “effetti collaterali” nel consumo di questi preziosi spicchi, processi del tutto naturali che sono in grado di evitarci di “trattenere il respiro”. Oltre alla fermentazione, usata nella lavorazione dell’aglio nero, ma che può seguire anche altre procedure di preparazione, troviamo la marinatura e la salamoia, la conservazione sotto aceto, o la trasformazione delle teste intere in crema, attraverso la cottura in forno.
Per concludere con un sorriso, prima di passare alle ricette, vi riportiamo un proverbio yiddish, che dice: “Una moneta ti porterà in metropolitana, ma l’aglio ti farà sedere.”